In questo contributo, che sussegue al precedente, ci accingiamo a presentare le montagne della Galilea che, per il loro alto significato teologico, destano attenzione ai visitatori che sono intenzionati ad assaporare questi encomiastici luoghi biblici di impareggiabile memoria.
I monti nei pressi del lago di Tiberiade
Il monte a cui fa riferimento Marco in 3,13 è quello che si erge sovrano al di là del lago di Tiberiade:
Gesù intanto si ritirò presso il mare con i suoi discepoli e lo seguì molta folla dalla Galilea (…) 13. Salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che egli volle ed essi andarono da lui (Mc 3,7.13).
Secondo la costituzione geografica del lago a forma di cetra perchè “la sua lunghezza massima da nord a sud è di 21 km e la larghezza di 11 km da est a ovest, con una superficie di circa 65 km2 e una profondità massima di circa 45 m” , il monte indicato da Marco, sul quale salì Gesù, potrebbe essere il Ğebel Kancan, la cui vetta raggiunge gli 855 metri, cioè la parte più alta del terreno, la cui base poggia sulla pianura del lago, il quale “ha solo una piccola spiaggia che si allarga a nord-ovest per formare la pianura di Genezaret”.
Gebel in arabo dialettale “denota una montagna o un'elevazione del terreno di altezza considerevole”, venendo a coincidere con la parte più alta del lago di Tiberiade, collocato in terra di Canaan (Palestina).
Molto probabilmente Gesù salì proprio su questa montagna, formatasi dal rialzamento del terreno adiacente al lago di Tiberiade.
Su questo monte Gesù istituisce i dodici apostoli, ai quali conferisce l'onere di predicare e di scacciare i demoni, imponendo loro i nomi.
Ne costituì dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perchè avessero il potere di scacciare i demoni. Costituì dunque i dodici.
Simone, al quale impose il nome di Pietro; poi Giacomo di Zebedeo e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali diede il nome di Boanerghes, cioè figli del tuono; e Andrea, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananeo e Giuda Iscariota, quello che poi lo tradì (Mc 3,14-19).
Tra quelli che Gesù chiamò e andarono con lui sul monte, egli ne scelse dodici.
Alla chiamata di Gesù segue la elezione dei dodici.
A ognuno di loro impose il nome, indice dell'incarico e della specifica missione affidati loro da Gesù.
La missione data da Gesù a ognuno di loro procede dal nome che Gesù scelse per ognuno di loro.
L'istituzione dei dodici sul monte è scandita da questi tre elementi: chiamata, elezione, incarico.
Il Ğebel Kancan viene ad essere il luogo teologico non solo della chiamata degli apostoli, perchè sulla base della loro fede egli scelse quelli e non altri, ma anche della loro specifica missione, riassumibile nell'incarico affidato a loro da Gesù, che è quello di predicare la buona novella e di scacciare gli spiriti maligni.
Su questo monte pertanto, per volontà del Maestro, nasce la chiesa ministeriale, la piccola cerchia ristretta dei fedelissimi di Gesù, perchè solo ai dodici Gesù ha dato il potere di compiere le sue speciali funzioni: quella di predicare e di scacciare i demoni.
Gesù anticipa il mandato vero e proprio degli apostoli che prende piede all'indomani della sua risurrezione (Mc 16,15-20), perchè dopo che risorse Gesù, affidando lo Spirito ai dodici, dette loro l'incarico di predicare in tutto il mondo il kerygma e il potere di togliere i demoni.
Tale monte quindi viene ad essere il luogo di origine della chiesa dei dodici, perchè su questo spuntò questo piccolo germoglio che si estenderà in dimensioni maggiori nella chiesa primitiva, descritta negli Atti degli apostoli (At 1-4).
Il monte diviene per i discepoli il luogo propizio per la preghiera, della quale si nutre la vita dello spirito:
E subito costrinse i suoi discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull'altra riva, a Betsaida, finchè non avesse congedato la folla. Quando li ebbe congedati, andò sul monte a pregare (Mc 6,45-46).
Gesù dimostra di essere unito al Padre nello Spirito, a tal punto che fa precedere la preghiera al Padre prima di salire in barca insieme ai discepoli, per raggiungere l'altra riva vicino a Betsaida.
Forte è il senso del timore di Dio in Gesù, in quanto egli è attaccato al Padre nello Spirito, prediligendo questa sua unica e singolare prerogativa con la preghiera.
Questo monte è il luogo in cui Gesù nobilita la vita dello Spirito mediante la preghiera, iniziando a manifestare il suo singolare timore per Dio; timore che raggiungerà la sua forma più alta nel Getsemani - dove Cristo, ai piedi del monte degli Ulivi, inizia a “patire” per amore del Padre - e il suo culmine sul Golgota con la morte sulla croce.
Il discorso della “montagna”
Prima di salire sulla “montagna” Gesù si aggirava a Cafarnao, presso il mare della Galilea e precisamente nella zona di Zabulon e Neftali; ambedue posti nella Galilea orientale :
lasciata Nazaret, venne ad abitare a Cafarnao, presso il mare, nel territorio di Zabulon e di Neftali, perchè si adempisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: «Il paese di Zabulon e il paese di Neftali, sulla via del mare, al di là del Giordano, Galilea delle genti; il popolo immerso nelle tenebre ha visto una grnde luce; su quelli che dimoravano in terra e ombra di morte una luce si è levata» (Mt 4,12-16).
Il territorio di Neftali “confinava a ovest con Aser, a sud con Zabulon e Issacar, e a est era delimitato dal fiume Giordano e dal lago di Tiberiade”, comprendendo al suo interno Tabga e il monte delle beatitudini, posto a ovest rispetto alla città di Cafarnao , ai cui piedi si estendeva il territorio di Zabulon.
Dalla testimonianza di Marco Gesù, prima di salire sulla montagna, percorreva il mare della Galilea e camminava attorno alla Galilea (Mt 4,18.23).
Da questi dati si può presumere che la “montagna” sulla quale Gesù salì è quella che si erge in prossimità del lago di Tiberiade, alla quale è possibile arrivare, partendo da Tabga, posta proprio ai piedi del cosiddetto “monte delle beatitudini”.
Tabigah è un luogo “vicino al lago di Genezaret, poco più di 3 km a sud-ovest di Cafarnao, a nord di Hirbet el-Oreimah e ai piedi del monte delle Beatitudini”.
Gesù sale su questo monte perchè vede intorno al mare di Galilea molta folla. Egli, salendo sul monte, si allontana dalla folla e, rimanendo solo con i suoi discepoli che gli si avvicinarono, li ammaestra.
La montagna così diviene il luogo di insegnamento di Gesù, perchè lì il maestro insegna loro i contenuti fondamentali della buona novella che egli apporta nel mondo con la sua venuta sulla terra.
La buona novella insegnata da Gesù non è in contraddizione con l'antica, ma in linea di continuità con essa: “Non pensate che io sia venuto ad abolire la legge o i profeti, non sono venuto per abolire, ma per dare compimento” (Mt 5,17).
Attorno a questo perno centrale ruota tutto il discorso della montagna che si divide in due parti: la prima parte è incentrata sui concetti fondamentali del nuovo regno di Dio, sui quali si fonda il suo ammaestramento (Mc 5,1-47), mentre la seconda parte è imperniata sulla prassi di vita che, alla luce del suo insegnamento, diviene regola di vita (Mt 6,1-7,28).
La montagna è quindi il luogo in cui il maestro impartisce ai discepoli pericopi di edificazione spirituale e pratica.
Sulla montagna Gesù insegna tramite le pericopi di edificazione che sono di due tipi:
anagogico-spirituale anagogico-pratico. Il primo ordine di pericopi, di stampo spirituale, è il sapere da Gesù che verranno ricompensati coloro che vivono beati seguendo la vita dello Spirito e la vita pratica della carità, che si estrinseca nell'operare la pace e nell'essere perseguitati a causa della giustizia.
La seconda pericope spirituale è il venire a conoscenza, dalle parole del Maestro, che per essere sale della terra e luce di vita è indispensabile che la luce della verità risplenda nei cuori e nei fatti di coloro che l'hanno ricevuta (Mt 5,13-16).
La terza pericope dello stesso genere, direttamente espressa dalla bocca di Gesù, insegna che Gesù è venuto a dare compimento alla legge.
Egli dimostra questo affermando che in lui si compie la nuova giustizia, riassumibile nella volontà e nella prassi della riconciliazione e dell'amore verso tutti, specialmente verso i nemici, alla stessa stregua del Padre celeste che estende il suo amore verso tutti, indipendentemente dalle mancanze e dai soprusi di ogni singola persona (Mt 5,17-47).
Queste pericopi (le prime) sono al fondamento per la realizzazione di quelle pratiche (delle seconde).
Infatti l'elemosina compiuta in segreto ha più valore di quella compiuta in pubblico, perchè egli realizza la nuova giustizia in quanto è convinto che al fondamento della stessa c'è Cristo: è lui che ricompensa sulla base della fede in Lui.
Per questo motivo l'elemosina, la preghiera e il digiuno vanno fatti non per farsi vedere dagli altri, ma per la fede in Cristo che, vedendo in segreto le opere del benefattore, dà a lui una mercede sovrabbondante (Mt 6,1-6.16.18).
Per quanto riguarda la preghiera Gesù insegna come pregare Dio padre che è nei cieli, evitando di sprecare vane parole perchè lui sa ciò di cui abbiamo bisogno.
Il perdono è al fondamento della nuova giustizia, il quale sta alla base dell'esercizio di un culto gradito al Padre: il fedele nella preghiera del Padre nostro chiede al Padre di ottenere la remissione dei peccati e il Padre glielo concede, se anche lui ha perdonato le colpe degli altri.
Nella pratica del perdono, della riconciliazione e dell'amore si manifesta la vera fede del credente che ripone fiducia in questi tesori che mai saranno consumati dal tempo (Mc 6,19-21). Il fedele può accumulare questo genere di tesori solo se il suo spirito è predisposto ad accoglierli (Mc 6,22-23).
In tal modo il fedele compie e realizza il regno di Dio e la sua giustizia e, conseguentemente, gli verranno dati dal Padre celeste tutte le cose di cui ha bisogno (Mt 6,25-34). Infatti i veri discepoli sono coloro che compiono fattivamente la volontà del Padre, per cui il fedele è chiamato ad evitare questa serie di comportamenti:
non giudicare, perchè chi giudica verrà a sua volta giudicato nella stessa misura. Non cercare di persuadere persone non intenzionate ad accogliere la buona novella (Mt 7,6).
Coloro che accolgono il regno di Dio e la sua giustizia quando pregano riceveranno dal Padre quanto chiedono (Mt 7,7-11) e non faranno agli altri ciò che non vogliono che sia fatto su di loro (Mt 7,12).
Essi sono coloro che hanno scelto la via del bene che è stretta, perchè pochi vi entrano (Mt 7,13-14).
Questi vengono identificati da Gesù con i veri discepoli che seguono la via accordata loro dal Padre celeste, guardandosi e allontanandosi dai falsi profeti che producono frutti che conducono alla morte (Mt 7,15-20).
La montagna è quindi il luogo in cui il maestro impartisce ai discepoli pericopi di edificazione spirituale e pratica, improntate all'immagine del nuovo regno: la nuova legge, apportata dal Maestro, diviene cibo di vita eterna se vissuta, secondo le regole pratiche che Gesù insegna ai discepoli nella seconda parte del suo discorso.
Sulla base di ciò queste pericopi di vita pratica divengono copia vivente di quelle spirituali, perchè le prime sono le dirette copie delle seconde, per cui i poveri di spirito, gli afflitti, i miti, i misericordiosi, gli aspiranti della giustizia, i puri di cuore, gli operatori di pace e i perseguitati vengono denominati beati in quanto, sull'orma dei profeti, avranno una grande ricompensa nei cieli; a loro spetta una mercede sovrabbondante (Mt 5,3-12).
La trasfigurazione
Il monte sul quale avvenne il miracolo della trasfigurazione è molto probabilmente identificato col monte Hermon, dal momento che Gesù, prima di salire sul monte, si aggirava attorno alla città di Cesarea di Filippo in Galilea per annunziare la sua passione.
Questa città è “collocata sulle pendici meridionali del monte Ermon, presso una delle sorgenti del fiume Giordano”.
Il monte Hermon si erge imponente sulla città, essendo la cima più elevata di tutto il Vicino Oriente, svettando di 600 metri su ogni altra parte dei Monti del Libano e dominando sulla pianura di Basan e l'alta valle del Giordano.
Sul monte Gesù si è trasfigurato davanti a Pietro, Giacomo e Giovanni, divenendo le sue vesti candide come la neve. La potenza del suo Spirito ha trasformato le sue vesti, rendendole candide, simboli del suo corpo e del suo spirito immuni da ogni forma di peccato.
Le vesti attestano che solo Gesù possiede questo singolare e unico privilegio, dettato dalla sua figliolanza divina.
Insieme a Gesù apparvero Elia con Mosè che discorrevano con lui.
Apparvero solo questi due profeti, perchè il primo gode della gloria di Dio in quanto è salito al cielo sopra un carro di fuoco (2Re 2,11) e il secondo in quanto è stato il diretto esecutore della Parola di Dio, in quanto a lui solo Dio dette le tavole della Torah (Es 20,2-18).
L'episodio della trasfigurazione si collega a quello del battesimo perchè, dalla nube che avvolse nell'ombra i presenti, si sentì una voce che proclamava Gesù essere il figlio prediletto, invitando gli apostoli ad ascoltarlo (Mc 9,7-8).
Questa voce, sulla falsariga del battesimo, proviene dal Padre, il quale esorta gli apostoli ad ascoltare quanto suo figlio prediletto diceva loro.
Il fatto stesso che Gesù parlava con Elia e con Mosè attesta che questi sono i sapienti dell'antica legge, nei quali risplende la sapienza dell'antica legge e dell'antica giustizia: ambedue parlano con Gesù perchè lo precedono, essendo i precursori della sua nuova legge e della sua nuova giustizia.
A tal proposito Lenhardt afferma che questo ascoltatelo – presente anche nei due altri racconti di Marco e Matteo – dimostra che l'elezione di Gesù Cristo è perchè si ascolti colui che è il figlio benamato e, secondo la risonanza con il capitolo 8 del libro dei Proverbi, colui che è, per i cristiani, l'incarnazione della Torà di Israele o, per riprendere la formula tradizionale, della “saggezza di Israele.
Infatti le vesti splendenti sono possedute solo da Gesù e non da Mosè ed Elia, perchè solo in Lui rifulge in pienezza la sapienza del Padre, per cui Mosè ed Elia, con i quali Gesù parlava, sono l'incarnazione della sapienza anticotestamentaria, nei quali sono insiti, per dirla con Giustino, i semi del Logos (Cristo preesistente).
Da questo punto di vista Gesù parlava con Mosè e con Elia perchè, in qualità di eletti, essi rappresentano la sapienza anticotestamentaria, cioè la Torah che non è in contraddizione ma in linea di continuità con la nuova sapienza, incarnatasi in Cristo; nuova sapienza che rappresenta non una cesura con la Torah, ma il compimento della Torah stessa.
A partire da tale quadro ascoltare Gesù secondo il messaggio della trasfigurazione è dunque illuminarsi della sua Torà e della sua pratica.
Così facendo potremo essere veri imitatori di Dio sull'esempio del Cristo.
Cinzia Randazzo
Fonte notizia
www.coeconews.com 2013 05 22 i-monti-della-galilea