Oggi il Primo Maggio è considerato una giornata intoccabile dedicata ai diritti dei lavoratori, ma pochi sanno che in passato, anche in Italia, fu vietato e sostituito con celebrazioni alternative.
Durante il regime fascista, a partire dal 1924, la Festa dei Lavoratori venne ufficialmente soppressa. Benito Mussolini vedeva il Primo Maggio come un simbolo di protesta politica internazionale, associato al movimento socialista e comunista, e quindi incompatibile con la propaganda del nuovo stato autoritario. Al suo posto, fu istituita la "Festa del Lavoro Italiano" il 21 aprile, data legata al Natale di Roma, ovvero alla leggendaria fondazione della città eterna.
Questa mossa aveva un chiaro intento: spostare l'attenzione dal diritto dei lavoratori a un'idea di "lavoro patriottico" al servizio della nazione, eliminando ogni riferimento alla lotta sociale e internazionale.
Nonostante il divieto, molti lavoratori continuarono a commemorare il Primo Maggio in modo clandestino. Riunioni segrete, scioperi improvvisi e gesti simbolici testimoniavano una resistenza silenziosa che attraversò gli anni più bui del regime.
Fu solo dopo la Liberazione del 1945 che il Primo Maggio tornò a essere una festa riconosciuta ufficialmente. Il decreto luogotenenziale del 1° maggio 1945 ristabilì la festività come simbolo dei valori di libertà e democrazia riconquistati dopo vent’anni di dittatura.
Questa pagina poco conosciuta della nostra storia ci ricorda come, anche dietro a un semplice giorno di festa, si celino battaglie di grande valore civile. Celebrare il Primo Maggio significa anche onorare chi ha rischiato tutto per difendere il diritto di lavorare in condizioni dignitose e libere.