Nell’Oceano Indiano, a circa 60 chilometri al largo della costa occidentale dell’Australia, si estende l’arcipelago di Houtman’s Abrolhos, noto soprattutto per il tragico naufragio della nave olandese Batavia nel 1629. Tuttavia, nel corso del XIX secolo, almeno un apparecchio navale e diversi pescatori riferirono di aver visto, sul fianco occidentale di East Wallabi Island, un piccolo villaggio di capanne e palizzate, popolato da uomini che si muovevano tra le barche tirate in secco e gli arredi degli accampamenti. Quando tornarono il giorno successivo per indagare, non trovarono nulla: nessuna capanna, nessuna traccia di fumo o di focolari, soltanto la distesa piatta dei ginepri costieri.
Questo “villaggio scomparso” divenne una sorta di leggenda marinaresca: chi lo aveva avvistato giurava di non aver confuso rocce con strutture costruite, chi lo aveva cercato non aveva trovato nemmeno le impronte lasciate sul terreno sabbioso. Il racconto venne tramandato nelle cronache dei capitani balenieri, nei diari dei pescatori di aragoste e persino nel resoconto di ufficiali britannici di passaggio. Ma a che cosa era dovuto quel misterioso insediamento che durò appena ventiquattro ore?
I primi avvistamenti: cronaca di una sorpresa in alto mare
Nel 1839 la baleniera inglese Enterprise fece rotta verso Houtman’s Abrolhos durante una campagna di pesca. Il capitano Edward Royle annotò nel proprio diario:
“All’alba del 12 novembre, via alla deriva parallelamente al lato occidentale di East Wallabi Island, abbiamo scorto in lontananza ciò che sembrava un villaggio sapientemente costruito. Una dozzina di capanne di frasche, una mezza dozzina di piccole imbarcazioni adagiate sulla spiaggia, e diverse figure che si muovevano con sicurezza tra i ripari. La strana sensazione è stata confermata da William, il tiratore scelto, che ha distinto chiaramente il fumo di un focolare.”
Royle ordinò di avvicinarsi con la barca di bordo e di atterrare sull’isola. La mareggiata, per un tratto insolitamente calma, pareva facilitare la discesa verso la spiaggia battuta dal vento. Ma quando gli ufficiali e i marinai toccarono terra, non trovarono nulla: la battigia era deserta, le sole tracce riconoscibili erano i segni di frantumi di corallo e gusci di uova di gabbiani. Quel villaggio con tetti di giunchi e stuoie non c’era più.
Nel suo rapporto ufficiale Royle descrisse l’accaduto come “un miraggio perturbato dalla luce del mattino” e suggerì che l’avvistamento fosse scoppiato da una combinazione di “calore, rifrazione e fantasie di mare”. Tuttavia, altri capitani balenieri affermarono di aver visto in differenti date strutture analoghe, mai presenti il giorno dopo. Ben presto si diffuse la convinzione che, nelle calde mattine d’estate, tra novembre e dicembre, un fenomeno di miraggio – noto ai navigatori come Fata Morgana – potesse creare l’illusione di un villaggio temporaneo.
Alla ricerca di conferme: tra diari di bordo e testimonianze orali
Nel decennio successivo (1840–1850), almeno tre diverse imbarcazioni registrarono avvistamenti simili. Il capitano olandese Cornelis de Vries, della baleniera Zeemeeuw, annotò nel 1843:
“Aprendo la vedetta al sorgere del sole, scorgemmo un fumo sottile procedere da alcune capanne di paglia, ai piedi di una collina rocciosa. Pensammo subito che un gruppo di cacciatori aborigeni avesse stabilito un campo temporaneo. Ma, nel distendere la scialuppa per andare a terra, l’incanto svanì: non un accampamento, non un segreto di tribù, soltanto dune e cespugli bassi.”
La coerenza tra i resoconti portò alcuni studiosi d’epoca a ipotizzare l’esistenza di un avamposto (forse abbandonato), usato dagli antichi aborigeni o da qualche gruppo di cercatori di guano, che però veniva smantellato ogni volta dai venti carichi di sabbia. Non risultarono però reperti archeologici o documentazioni di insediamenti stabili.
Nel frattempo, i pescatori di aragoste che frequentavano Houtman’s Abrolhos nei mesi estivi tramandarono oralmente la leggenda:
“Quando al mattino il mare tremola come un lago di vetro, si vede un villaggio nascosto tra le rocce, con uomini che si danno da fare. Ma chi si avvicina, trova solo il sale sulla pelle e il silenzio del nulla.”
Queste “storie di mare” venivano raccontate nelle case di Fremantle e Geraldton, alimentando l’interesse dei curiosi e dei collezionisti di leggende marinare. Alcuni credettero che su Houtman’s Abrolhos si fosse stabilita, in epoca precedente alla colonizzazione europea, una remota comunità di pescatori aborigeni con capanne costruite lungo la costa, poi inghiottita dai venti o forse trasferitasi in cerca di acque più floride. Tuttavia, né gli studi antropologici né le ricerche archeologiche successive hanno confermato alcuna testimonianza di un villaggio stabile.
Fata Morgana: il re dei miraggi marittimi
Se non si trattava di un vero insediamento, che spiegazione offre la scienza? Il fenomeno noto come Fata Morgana è una forma complessa di miraggio che si genera quando strati d’aria a temperature diverse si sovrappongono, rifrangendo la luce in modo da far apparire oggetti lontani come se fossero rialzati o addirittura “sospesi” sopra l’orizzonte.
Nei mari temperati, questo effetto si attiva soprattutto nelle prime ore dopo l’alba, quando la superficie dell’acqua è più fredda dell’aria soprastante. Le onde ondulate dell’aria possono riflettere le coste, l’acqua e i relitti sottomarini, creando l’illusione di manufatti, scialuppe, persino interi edifici. Quando la luce del sole aumenta, il miraggio scompare quasi istantaneamente, restituendo al navigante solo il paesaggio reale.
Gli studi condotti nel XX secolo dalla facoltà di Fisica dell’Università di Perth hanno confermato che la conformazione bassa e allungata delle isolette di Houtman’s Abrolhos, unite a una frequente inversione termica nella colonna d’aria, genera costantemente condizioni favorevoli alla Fata Morgana. In pratica, le rocce levigate, le barche semiaffondate di antichi naufragi e i banchi di alghe possono combinarsi per dare l’impressione di un piccolo agglomerato di capanne.
Tra leggenda e realtà: l’eredità dei naufragi
Al di là dei miraggi, Houtman’s Abrolhos conserva un patrimonio storico fatto di naufragi e sopravvissuti che davvero costruirono rifugi temporanei. Il caso più famoso è quello della Batavia (1639), i cui superstiti eressero baracche di fortuna su West Wallabi Island, fatalmente teatro di sanguinosi tradimenti e omicidi. Quel “villaggio” durò circa due anni, fino alla resa dei carnefici e all’arrivo dei soccorsi; non sparì però in 24 ore, bensì nel momento in cui la Batavia stessa venne riscontrata da una nave belga che li evacuò.
Tra il 1847 e il 1860, un gruppo di cercatori di guano britannici si stabilì su Pelsaert Island, erigendo capanne di legno e costruendo pagliai. Anche questo insediamento, destinato a sostenere una breve attività di estrazione, venne abbandonato in fretta quando il mercato dei fertilizzanti si spostò altrove. Certo, queste strutture non furono rimosse immediatamente, ma i venti forti e le maree contribuirono a cancellarne rapidamente ogni traccia, dando vita al sospetto che il villaggio fosse svanito senza lasciare tracce.
Negli archivi del WA Maritime Museum esistono fotografie in bianco e nero risalenti agli anni ’20, che ritraggono ruderi di baracche affondate nell’acqua al tramonto, ricoperti di alghe e tronchi spiaggiati. Le descrizioni nei diari dei guardiacoste parlano di “case fantasma” che, a certe ore, sembravano galleggiare appena sopra il livello del mare.
Il fascino del mistero
Oggi chi visita Houtman’s Abrolhos non troverà alcuna traccia di un villaggio che sparisca in un giorno. Ma la leggenda vive ancora nelle storie dei pescatori locali e negli appunti di qualche vecchio marinaio: basta arrivare all’alba, sostare in silenzio sulla prua di un’imbarcazione e osservare la luce che danza sull’acqua, per sentire l’eco di un racconto che unisce scienza e superstizione. In un luogo dove i relitti giacciono a pochi metri di profondità, e dove i venti possono rimodellare un accampamento in poche ore, è difficile distinguere ciò che è reale da ciò che nasce dalla fantasia dei naviganti.