Nel mondo della medicina sperimentale dell’Ottocento, l’audacia spesso si confondeva con la follia. Uno dei protagonisti più emblematici di questa linea sottile fu James Blundell, un medico britannico considerato il pioniere delle trasfusioni di sangue umane.
Siamo nel 1818. Fino a quel momento, nessuno aveva mai effettuato con successo una trasfusione tra esseri umani. Blundell, però, era convinto che potesse essere una soluzione per salvare donne che perdevano troppo sangue durante il parto. La medicina ufficiale guardava all’idea con estremo scetticismo. Le poche trasfusioni sperimentate in passato erano fallite miseramente, anche perché realizzate tra animali e uomini, con esiti tragici.
Blundell però fece qualcosa di clamoroso: prima ancora di testare la sua tecnica su altri, decise di praticarsi una piccola autotrasfusione. Prelevò il proprio sangue e lo reiniettò nel suo stesso corpo, dimostrando che il sangue umano poteva essere reinserito nel sistema circolatorio senza effetti immediatamente letali. Un gesto estremo, ma che aprì la strada a un nuovo campo della medicina.
Dopo quel primo gesto temerario, Blundell eseguì dieci trasfusioni umane, cinque delle quali riuscirono a salvare la vita ai pazienti, un tasso di successo incredibilmente alto per l’epoca. Le sue ricerche, pubblicate nel 1829, gettarono le basi per le moderne trasfusioni, anche se ci vollero ancora anni prima di capire l’importanza dei gruppi sanguigni e della compatibilità.
Oggi James Blundell è ricordato non solo per la sua abilità tecnica, ma per il coraggio quasi folle con cui sperimentò su sé stesso. Un gesto che oggi farebbe rabbrividire qualsiasi comitato etico, ma che all’epoca fu l’unico modo per dimostrare che certe idee non erano pura fantasia.
Curiosità finale:
Blundell progettò anche uno strumento per eseguire trasfusioni manuali, simile a una grossa siringa dotata di tubo. Uno dei suoi esemplari è ancora conservato al Science Museum di Londra.