Nel 2004, un uomo fu trovato privo di sensi dietro a un fast food in Georgia, negli Stati Uniti. Era nudo, coperto di formiche rosse, scottato dal sole… e senza la minima idea di chi fosse. Al suo risveglio in ospedale, non ricordava nulla: né il suo nome, né da dove veniva. I documenti erano assenti. L’uomo iniziò così una delle storie più incredibili e inquietanti della cronaca americana: quella di Benjamin Kyle, l’uomo senza identità.
Gli esami medici non rilevarono traumi cerebrali gravi, ma venne diagnosticata un’amnesia dissociativa totale. Benjamin Kyle diventò il nome fittizio usato per identificare il paziente sconosciuto, e per oltre 10 anni visse ai margini della società, senza documenti, senza assistenza, senza poter lavorare o accedere ai servizi sanitari.
Nonostante numerosi appelli pubblici, apparizioni in televisione e perfino il coinvolgimento dell’FBI, nessuno sembrava riconoscerlo. Il mistero della sua identità lasciava perplessi medici, agenti e giornalisti.
Solo nel 2015, grazie a test genetici avanzati e a una comunità di genealogisti online, si scoprì finalmente il suo vero nome: William Burgess Powell. Era nato in Indiana ed era scomparso volontariamente negli anni ’80 dopo una crisi personale. Ma a causa di un guasto profondo della memoria, aveva rimosso del tutto la sua vita precedente.
Il caso di Benjamin Kyle è oggi citato in libri e documentari come uno dei più rari e affascinanti episodi di perdita d’identità nella storia moderna. Un esempio reale di quanto fragile possa essere la nostra percezione del sé e di quanto l’identità personale sia legata a documenti, numeri e burocrazia. Una storia da film… ma accaduta davvero.