Nel 1752, in Inghilterra, aprire un ombrello per strada poteva farti finire nei guai con la legge. E non stiamo parlando di una leggenda metropolitana: per alcuni decenni, l’uso degli ombrelli fu oggetto di una curiosa restrizione sociale e legale, che riflette perfettamente lo spirito contraddittorio della burocrazia britannica dell’epoca.
Tutto iniziò con Jonas Hanway, un viaggiatore e filantropo londinese, noto per essere uno dei primi uomini a usare un ombrello in pubblico nella capitale inglese. Prima di lui, questo strumento era considerato esclusivo appannaggio delle donne (e perlopiù ornamentale), mentre gli uomini si affidavano ai cappelli a tesa larga o si facevano semplicemente bagnare. Quando Hanway iniziò a passeggiare sotto la pioggia con il suo ombrello francese – un oggetto ritenuto “effeminato” e ridicolo all’epoca – la reazione della società fu tutt’altro che accogliente.
Ma non furono solo i pregiudizi culturali a rendergli la vita difficile. A opporsi con forza all’uso dell’ombrello furono soprattutto i vetturini delle carrozze a cavalli, che temevano un crollo della loro attività: meno pioggia addosso, meno clienti da trasportare. E così, complice la loro influenza, in alcune zone di Londra vennero emesse vere e proprie ordinanze municipali che scoraggiavano – o in certi casi vietavano – l’uso dell’ombrello. Aprirne uno vicino a una carrozza era considerato “pericoloso per il traffico” e poteva valere una multa.
Gli storici ritengono che questa sorta di “proibizionismo da pioggia” durò fino alla fine del XVIII secolo, quando l’ombrello cominciò finalmente a essere accettato come accessorio pratico e persino elegante. Ma per anni, camminare con un ombrello in mano poteva suscitare fischi, insulti e perfino un controllo della polizia locale.