Sembrava una trovata di qualche satira ottocentesca. Invece era tutto vero: in Francia, per legge, anche gli alberi dovevano essere registrati e tassati. Come fossero cittadini.
La burocrazia, si sa, sa essere creativa. Ma nel 1791, in piena Rivoluzione francese, lo Stato fece un passo che ancora oggi lascia perplessi gli storici del diritto: approvò un censimento nazionale non solo delle persone e delle proprietà, ma anche... degli alberi da frutto. E non per scopi botanici. Per tassarli.
Sì, in una fase storica in cui si cercava ogni mezzo per finanziare la Repubblica appena nata, anche le mele e le pere divennero risorsa fiscale.
Il contesto: rivoluzione, debiti e disperazione fiscale
Dopo l’abolizione dell’ancien régime, la Francia rivoluzionaria si ritrovò con casse statali vuote e un’economia da ricostruire. La nobiltà non pagava più tasse, il clero era stato espropriato, e la borghesia chiedeva giustizia fiscale. Era il momento di trovare nuove fonti di reddito, e i legislatori ebbero un’idea: far pagare tasse sulle “ricchezze naturali produttive”.
Nacque così la "Contribution foncière", una tassa sulla proprietà che includeva anche il numero di alberi produttivi presenti nei terreni privati. Meli, ciliegi, peri, ulivi: se davano frutti, generavano reddito, e dunque dovevano contribuire al bilancio nazionale.
Il censimento verde
Tra il 1791 e il 1793 si avviarono in diverse regioni francesi censimenti agricoli dettagliatissimi. I funzionari, muniti di registri, andavano casa per casa a contare gli alberi nei giardini e nei campi. Ogni albero veniva descritto, classificato per specie e produttività, e registrato come “unità imponibile”.
Il risultato? Documenti incredibili in cui si trovano frasi come:
"Il cittadino Jean-Baptiste Fournier possiede 6 peri maturi, 2 meli giovani e un fico in buono stato. Totale valore tassabile: 13 unità."
Gli alberi, per la prima volta nella storia d’Europa, diventavano entità fiscali.
Le reazioni: tra ironia e furberie
La legge suscitò reazioni contrastanti. Molti contadini si adattarono, ma non pochi provarono a eludere il fisco abbattendo alberi “inutili” prima del censimento o dichiarandoli improduttivi. In alcune campagne si racconta che i più scaltri innestassero rami da frutto su alberi selvatici dopo il passaggio del censore, per poi recuperare la produzione “in nero”.
Altri, invece, si limitarono a nascondere gli alberi: si registrano casi in cui si coprivano con reti mimetiche o si spostavano i confini dei campi per farli risultare "fuori registro".
Non mancarono neppure proteste ufficiali: alcuni cittadini presentarono petizioni al governo rivoluzionario chiedendo che "gli alberi non potessero essere trattati come servitori tassabili".
Il declino e l’assurdità storica
Con il consolidarsi di Napoleone al potere, le regole fiscali vennero semplificate. Già nel 1807 il censimento degli alberi venne abolito e sostituito da un’imposizione più generale sulla produttività dei terreni agricoli.
Ma per oltre un decennio, gli alberi furono ufficialmente soggetti fiscali in Francia.
Questo episodio, pur breve, rimane una delle pagine più curiose della storia fiscale europea: un raro caso in cui la natura venne tradotta in numeri per sostenere una rivoluzione.