Nel cuore delle montagne giapponesi esiste un villaggio unico al mondo. Si chiama Nagoro, ma ormai è conosciuto da molti come il “villaggio delle bambole”. Non per un’industria di giocattoli né per una mostra permanente: le bambole sono gli abitanti stessi.
Sì, hai letto bene: centinaia di figure a grandezza naturale, fatte a mano, vestite come persone reali, occupano panchine, scuole, uffici, fattorie. Sono ferme, immobili, ma raccontano una storia profonda e inquietante.
Dove sono finiti gli abitanti?
Nagoro, come tanti altri villaggi rurali giapponesi, ha subito negli ultimi decenni un forte spopolamento. I giovani sono andati a vivere nelle grandi città. Gli anziani, col tempo, sono morti.
Nel 2002, una donna di nome Ayano Tsukimi è tornata nel villaggio natale e, per ricordare il padre defunto, ha realizzato una bambola che gli somigliava. Poi ne ha fatta un’altra. E un’altra ancora.
Oggi le bambole sono più degli esseri umani: ne restano appena una trentina di persone, ma ci sono oltre 400 figure disseminate ovunque.
Ogni bambola ha una storia
Ayano non si limita a cucire e imbottire: ogni bambola rappresenta un abitante reale del villaggio, con un nome, un passato, un posto preciso. C’è il contadino, la maestra, il pescatore, i bambini che giocano… Tutti ricreati come se fossero ancora lì, in una scena congelata nel tempo.
È come se Nagoro fosse un gigantesco memoriale vivente.
Una meta per i turisti dell’assurdo
Negli ultimi anni, Nagoro è diventato una meta virale sui social, attirando fotografi, videomaker e turisti in cerca di esperienze fuori dall’ordinario. Alcuni lo trovano commovente, altri inquietante.
C’è chi parla di arte, chi di follia, chi di resistenza culturale. Ma tutti concordano su una cosa: Nagoro non somiglia a nessun altro posto al mondo.