Hai mai sentito dire che la NASA spese una fortuna per sviluppare una penna che potesse scrivere nello spazio, mentre i sovietici si limitarono a usare una matita? È una storia raccontata mille volte, spesso per ironizzare sulla burocrazia o sull’eccesso di ingegnerizzazione americana. Peccato che sia una bufala completa. E dietro a questa leggenda si nasconde una delle invenzioni più affascinanti e ingegnose della corsa allo spazio: la penna Fisher.
Una penna davvero spaziale
Nel 1965, Paul C. Fisher, un inventore privato e fondatore della Fisher Pen Company, sviluppò a proprie spese una penna capace di scrivere in condizioni estreme: assenza di gravità, alte e basse temperature, superfici oleose o bagnate, addirittura sott’acqua. Nessun inchiostro tradizionale, ma una cartuccia pressurizzata e un gel speciale brevettato.
Il suo obiettivo? Creare un prodotto utile a tutti, ma soprattutto adatto alle condizioni proibitive delle missioni spaziali.
NASA e URSS? La comprarono entrambi
Contrariamente al mito, la NASA non commissionò né finanziò lo sviluppo della penna Fisher. Fu solo dopo rigorosi test che, nel 1967, l’ente spaziale americano decise di adottarla per le missioni Apollo. Poco dopo, anche i cosmonauti sovietici iniziarono a usarla. Prezzo? Circa 2,39 dollari l’una. Altro che “milione”.
Perché le matite non andavano bene
“Perché non usare una semplice matita?”, si chiedono in molti. La risposta è semplice: le matite rilasciano trucioli e polvere di grafite, altamente infiammabili e potenzialmente pericolose in ambienti a ossigeno puro come quelli delle prime capsule spaziali. Inoltre, la grafite è conduttiva e poteva causare cortocircuiti. Insomma, le matite erano un rischio concreto.
Ancora oggi nello spazio (e sulla Terra)
La penna spaziale Fisher è ancora in uso oggi sulla Stazione Spaziale Internazionale. Ma non serve andare tra le stelle per usarla: chiunque può acquistarla. È apprezzata da escursionisti, militari, sommozzatori e persino… dagli amanti della scrittura a testa in giù